Scrittori polemisti: Pasolini, Sciascia, Arbasino, Testori, Eco 

April 17, 2012
scrittori polemisti

di Bruno Pischedda 
Bollati Boringhieri, 338 pp., € 18.50

DALILA COLUCCI- La scommessa dell'impegno

“Lo scrittore è ‘in situazione’ nella sua epoca: ogni parola ha i suoi echi. Ogni silenzio anche”: è una suggestione di natura sartriana quella che si avverte nell’accostarsi per la prima volta a Scrittori polemisti, ultimo libro di Bruno Pischedda, docente di letteratura italiana contemporanea presso l’Università di Milano. Questo importante volume evoca infatti, fin dal titolo, un’ampia riflessione sul ruolo del pensatore umanista nell’agone politico e sociale del suo tempo; riflessione tanto più incisiva poiché sorretta, nel procedere delle pagine, da un’elegante ed esaustiva analisi storica e metodologica, oltre che letteraria. In un appassionante percorso che attraversa alcune tra le opere più celebri di Pasolini, Sciascia, Arbasino, Testori ed Eco, Pischedda esamina il rinato impegno civile in Italia tra il 1960 e il 1980, stagione straordinaria, sede dell’“ultimo e più vero rimbalzo di prestigio di cui il ceto umanista italiano abbia potuto compiacersi”.
 
La scelta dei nomi chiamati in causa non è casuale, né risponde semplicemente al gusto personale dell’autore; il criterio di selezione sta ancora nel titolo, in quel polemos – concetto filosofico di orgine greca – che delinea una speciale categoria dell’impegno. Parlando della guerra in termini di concezione metafisica, Eraclito la definiva fonte di ogni realtà e armonia: “di tutte le cose padre, di tutte re, e gli uni rivela dei e gli altri uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi”. Essa crea quindi un equilibrio fondato sui contrari, generando non solo distruzione, ma anche una società gerarchicamente ordinata e giusta. Polemisti, i cinque scrittori considerati sono dunque nel senso più greco e filosofico del termine: il loro eversivo attacco al mondo contemporaneo – condotto nel rifiuto di qualsivoglia filtro ideologico – è orientato alla ricomposizione, mette a nudo le storture del vivere e della politica italiana indicandone un’alternativa. Ed è un’alternativa che cerca, sia pure pericolosamente, la propria legittimazione nella superiorità e unicità della parola letteraria, nelle qualità precipue dell’homme des lettres. Non è un caso del resto – come Pischedda sottolinea in più di un’occasione – che il concetto di polemos appia nei protagonisti del libro consapevolmente legato a quello di sapienza, che (sempre etimologicamente) è la dote di chi unisce una vasta e assimilata conoscenza delle cose alla capacità di giudicarle.
 
Nel corso dei cinque capitoli monografici di cui si compone Scrittori polemisti, Pischedda procede dunque con maestria libera da pregiudizi a individuare i caratteri di questo sapiente e nuovo “polemismo umanista”, sia dal punto di vista dei nuclei tematici che sotto il profilo retorico-formale. E qui sta in effetti la più grande novità e lo speciale valore del libro, che offre un dettagliato esame degli strumenti stilistici che fecero delle provocazioni di questi scrittori, tutti piuttosto difficili, esortazioni capaci di influenzare in maniera duratura le coscienze degli italiani.
 
Assai diversi tra loro – prosatori di ispirazione settecentesca e ferventi cattolici, seguaci del marxismo e campioni di una borghesità qualificata – i polemisti toccano del resto, per larga parte, gli stessi argomenti, dal caso Moro al terrorismo, dall’aborto alla crisi economica degli anni Settanta; sono invece le strategie comunicative, messe a punto per indagare una realtà sempre più multiforme ripristinando la supremazia civica dell’intellettuale, a segnare le loro divergenze. Dalla visionarietà metaforica e apocalittica di Pasolini, legata a una sacralità eterodossa, alle tendenze omiletiche di Testori, campione del neo spiritualismo di matrice cattolica e tradizionale; dall’illuminismo venato di tendenze borgesiane di Sciascia (che giunge a fare della realtà una derivazione della letteratura), al graffiante atteggiamento dandistico di Arbasino, voce laica di una protesta senza vincoli di parte, fino al logico e moderato argomentare di Eco in difesa delle scienze della ragione: questo l’ampio spettro di toni ed espedienti formali che talvolta risultano tra loro incompatibili. L’abilità di Pischedda sta pertanto nel ricondurre le varie voci in un armonioso mosaico, i cui tasselli restituiscano immagini diverse ma complementari. Ciò che salva il libro dal risultare un montaggio di profili esaustivi ma disarticolati è cioè il continuo e costante dialogo che istituisce tra i vari scrittori, ponendoli in un rapporto di filiazione, confronto o antagonismo e individuando altresì alcune costanti metodologiche.
 
Ampio spazio è così dedicato all’allargata base interdisciplinare del polemismo – nato alla luce di scienze come la linguistica, l’antropologia e la semiologia – cui Pischedda fa seguire la puntuale disamina dei vantaggi e soprattutto dei rischi cui si espone l’“ideologo onnivalente” degli anni Settanta, talora invischiato in uno scientismo malinteso (malthusiano, come nei casi pur distanti di Pasolini e Eco), che sfiora “l’etologia, la biogenetica delle folle, la fisiognomica ottocentesca”. Altro filo rosso che attraversa i cinque microsaggi è quello della reciproca influenza tra il nuovo polemos e la letteratura, che emerge con speciale evidenza nel caso di Sciascia ma riguarda problematicamente anche un autore come Arbasino, il cui engagement coincide con un temporaneo esaurisi della verve creativo-romazesca.
 
Ne risulta una potente visione d’insieme, che pure nulla toglie alla specificità delle singole analisi. Uno dei pregi del volume – che si configura principalmente come una lettura specialistica ma non vuole però precludersi a un più vasto pubblico di non addetti ai lavori – è del resto proprio la capacità di fornire al lettore, anche a quello sprovvisto di uno specifico background sugli scrittori presi in esame, un’idea precisa della sostanza e della forma letteraria dei testi cui si accosta. Sembra anzi che il saggio tenda implicitamente, attraverso la sua prosa elegante e ricercata ma non per questo poco comunicativa, a definire il suo lettore ideale, sulla scia degli stessi polemisti, che sul ruolo del fruitore non mancano mai di interrogarsi per definirne il profilo e il compito. Ciò che ne deriva è un appello a un pubblico colto e appassionato, che sembra molto vicino a quello auspicato da Arbasino (al quale è dedicato, non a caso, il capitolo più ampio e interessante del volume).
 
È nell’aprirsi a questo pubblico e insieme nel metodo d’inchiesta che lo percorre che il volume acquista, a mio parere, un valore che supera quello circoscritto della critica letteraria per diventare parola performativa, la quale – esaminando e riecheggiando l’attitudine analitica e la vena inquisitoria degli scrittori polemisti – paga il suo tributo a quel grandioso impegno ormai esaurito.
In un’epoca di ristagno del fervore civile da parte del ceto intellettuale, come quella in cui viviamo, Scrittori polemisti è insomma un libro estremamente attuale: un tentativo di sondare gli spazi di elaborazione di idee che ebbero uno straordinario impatto sul nostro Paese e soprattutto di vagliare il grado di affidabilità di una parola fieramente letteraria su questioni che letterarie non furono.
 
Una “scommessa da rischiare” – sono parole di Pischedda – che l’autore ha ben vinto.