Atlante della letteratura italiana, vol. II: Dalla Controriforma alla Restaurazione

May 5, 2012
Atlante della letteratura italiana book cover

a cura di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà (vol. II a cura di Erminia Irace)
Einaudi, 946 pp., ill., 85.00 €

MARCO ARESU - Tra geografia e storia

“Prometto di non scrivere nessuna storia letteraria, nessun capitolo di storia letteraria, prima di avere letto per intero tutte le opere prese in considerazione e di ignorare tutte le precedenti storie letterarie a meno di essere certo che chi le ha scritte ha letto veramente tutte le opere che ha preso in considerazione”. Con queste parole Remo Ceserani concludeva un suo articolo (pubblicato su il manifesto nel giugno 2005) sullo stato del dibattito critico-letterario negli Stati Uniti e in Europa, riconoscendo alla specifica situazione italiana uno Streben storicistico che senza dubbio ha reso l’Italia il paese più prolifico in termini di produzione di storie della letteratura. Ceserani, che di una assai fortunata storia della letteratura italiana per licei è stato autore (con Lidia De Federicis), pronunciava questa promessa con un filologico atteggiamento di alta moralità nei confronti della letteratura e insieme con una non celata insoddisfazione per lo stato attuale della storiografia letteraria in Italia, spesso limitata alla stesura di riassunti di riassunti, senza un progetto critico e una concreta metodologia alla base di essa. È una simile insoddisfazione che guida il progetto critico di Sergio Luzzatto e Gabriele Pedullà (rispettivamente docenti di Storia moderna presso l’Università di Torino e di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università di Roma Tre), curatori dell’Atlante della lettura italiana, di cui è recentemente stato pubblicato il secondo volume (Dalla Controriforma alla Restaurazione, con la curatela di Erminia Irace) per i tipi di Einaudi. È una insoddisfazione per una metodologia che iscrive i fenomeni letterari nell’ambito di una teleologia di matrice hegeliana, che mortifica o esalta il testo letterario in relazione alla sua conformità (o difformità) al movimento dialettico dello Spirito. È questa impostazione, variamente declinata secondo modalità desanctisiane, crociane o gramsciane, che ha contraddistinto circa un secolo di storia letteraria in Italia: un modello rimasto sostanzialmente non intaccato dalle esperienze di carattere formalista, strutturalista e post-strutturalista della seconda metà del Novecento, che, in Italia, alla dimensione storicista hanno sempre pagato un cospicuo contributo (si pensi alla nozione di semiotica filologica di Cesare Segre, pure autore con Clelia Martignoni di una storia letteraria). Ed è a questa impostazione che i curatori dell’Atlante reagiscono: reagiscono, cioè, a una nozione di sviluppo finalistico e chiaramente intelligibile, unidirezionale e sanzionato dalla garanzia di una inerente qualità estetica predeterminata: una impostazione che presenta di fatto ben poche e isolate eccezioni nel panorama della storiografia letteraria in Italia. Tra queste, è il caso del settecentesco Girolamo Tiraboschi, non senza motivo citato nell’introduzione programmatica all’opera: un caso peculiare per il radicamento della nozione di storia letteraria alla realtà territoriale e geografica, per cui la letteratura italiana è, di fatto, quella che si sviluppa sul territorio nel corso dei secoli e include l’esperienza etrusca, latina, megalo-greca etc.; un caso peculiare anche per la scelta di accogliere nella sua enciclopedica trattazione sia la literature che la literacy italiane. Tuttavia, il progetto dei curatori non è un tentativo di revival archeologico di un’esperienza sicuramente datata, sebbene la lezione di Tiraboschi eserciti un discreto fascino su Luzzatto e Pedullà. I modelli di riferimento, il sostrato teoretico e il retroterra ideologico di riferimento sono ben diversi; ed estremamente variegati. In primo luogo, vale la lezione di Carlo Dionisotti, che nel suo saggio seminale del 1967 “Geografia e storia della letteratura italiana” illustrava la peculiare natura policentrica del nostro sistema letterario, caratterizzato dall’assenza di una politica culturale accentratrice, dal multilinguismo, dalla pluralità dei centri di produzione e circolazione: una natura che mal si conforma a un coerente disegno idealista di storia della letteratura, e che sembra invece richiedere strumenti interpretativi che possano rendere conto delle sue difformità ed eterogeneità. È la specificità stessa della letteratura italiana a suggerire, in breve, il modello di studio geografico e cartografico connaturato alla nozione di atlante. E non sembra lontano da questa prospettiva il paradigma proposto dal comparatista Franco Moretti: e se Moretti non è forse il referente diretto di Luzzatto e Pedullà, le sue strategie di analisi possono aiutare a comprendere e apprezzare la dimensione ermeneutica dell’Atlante. Moretti mutua, rispettivamente dalla storiografia quantitativa e dalla geografia, due strumenti che scandiscono anche la struttura dell’Atlante: il grafico e la mappa. E mappe e grafici (reti e sistemi, nella terminologia dei curatori) rappresentano dell’Atlante l’aspetto più visibilmente innovativo. Il grafico visualizza dati di estrema complessità o estensione cronologica in immagini di immediata comprensibilità. La mappa evidenzia una delle citate singolarità della letteratura italiana: la proliferazione dei suoi centri di produzione e divulgazione; e sottolinea anche la diffusione e fortuna critica della letteratura italiana oltre confine, e quella netta contrapposizione fra nord e sud della penisola che informa anche i fenomeni culturali.

 
Mappe e grafici, si è detto: si vuole con ciò insistere sul carattere fortemente orientato in senso visivo dell’Atlante, perché esso comporta due notevoli aspetti legati alla possibile (e certamente auspicata) ricezione dell’opera. Da un lato, il carattere visuale consente applicazioni pedagogiche innovative ed efficaci (dall’aula scolastica alla presentazione accademica), in particolare se si considera la natura precipuamente visiva dei fenomeni culturali cui più sono legate le nuove generazioni di discenti. Dall’altro, il grafico e la mappa avvicinano il pubblico non specialista al fenomeno letterario attraverso mezzi di rapida intelligibilità. A questo tipo di apertura al pubblico di non addetti ai lavori sono finalizzate anche le brevi introduzioni che aprono i saggi, elementi para-testuali che anticipano e riassumono i momenti fondamentali della trattazione dei singoli saggi.
Prima di considerare nel dettaglio le cifre distintive di questo secondo volume si vogliono rilevare due ulteriori aspetti del disegno generale dell’Atlante, che riguardano la continua interazione tra geografia e storia: in questo senso, la lezione del pur criticato storicismo non è certo passata inosservata. In primo luogo, risulta ben chiaro che la dimensione temporale non è mai assente dalla trattazione, a partire dalla suddivisione dei volumi in età (per quanto le età siano definite a partire da una notazione geografica, essendo associate al prominente ruolo culturale o politico di una determinata città). In secondo luogo, l’elemento cronologico è propriamente tematizzato nei saggi che prendono spunto da un evento (i saggi-evento nel lessico dell’Atlante), per indagare una temperie culturale o il momento iniziale o conclusivo di un più ampio ambito di circostanze: incontri, fughe, pubblicazioni, lezioni, raduni. È il caso, in questo secondo volume, del saggio datato “Venezia, 1545” (di Amedeo Quondam), anno dell’edizione delle Rime diverse a cura dell’editore Gabriele Giolito, fondamentale per il successo delle antologie poetiche in Italia e per la definitiva affermazione del magistero petrarchesco nella lirica. È, ancora, il caso dell’incontro tra i due vescovi Giovanni Della Casa e Galeazzo Florimonte (“Roma, primi mesi del 1550” di Gabriele Pedullà), occasione per la stesura del Galateo, trattato di buone maniere che influenzerà la riflessione etica, estetica e pedagogica di numerose generazioni di europei. È, con un ultimo esempio, il caso dell’istituzione dell’insegnamento di Commercio e meccanica presso l’ateneo partenopeo (“Napoli, 5 novembre 1754” di Giuseppe Ricuperati) e del suo affidamento ad Antonio Genovesi: data significativa per la centralità dell’economia nell’ambiente illuminista napoletano e per il significato di questa nella riflessione politica pre-unitaria.
 
Si è detto in breve dell’articolazione dell’Atlante secondo la sua struttura generale. Il secondo volume copre circa tre secoli di letteratura italiana (1530-1815) ed è suddiviso in quattro sezioni, ognuna dedicata a una diversa “capitale” culturale e all’influenza, estetica e politica, che questa ha esercitato sulla produzione culturale della penisola: Trento, Roma, Napoli, Milano. Nel primo volume, lo spostamento delle origini della letteratura italiana dalla corte federiciana all’ambiente accademico lombardo-veneto era stata accompagnata dalla scelta di Padova come capitale dei primordi della nostra storia letteraria: una scelta contro-tendenza e dalle implicazioni critiche (e polemiche) di tutto rilievo. La scelta delle capitali del secondo volume appare forse meno provocatoria: nondimeno, assai stimolante. L’atmosfera controriformistica è segnalata dalla scelta della città conciliare, più secondo una prospettiva simbolica che per l’effettivo ruolo svolto da Trento a cavallo della metà del Cinquecento. Roma come capitale di quella produzione manierista e barocca sempre più concepita come il crepuscolo di un lungo Rinascimento è forse una delle scelte più appropriate del volume: nuova luce viene difatti gettata su una serie di fenomeni culturali troppo spesso sbrigativamente catalogati come segnali di decadenza o comunque non all’altezza delle contemporanee esperienze europee. L’assenza di un criterio teleologico rende cioè degne di nota esperienze anche non esteticamente altissime come la ricca produzione di romanzi nel Seicento, la diffusione dei primi melodrammi, la riflessione sulla storiografia e sulla prosa, e il rizomatico proliferare della scrittura scientifica di scuola galileiana. La scelta di Napoli denuncia alcune delle caratteristiche più significative del progetto dell’Atlante cui si è più volte accennato. In primo luogo, la messa in evidenza di una estrema diversificazione nell’ambito del territorio nazionale: alla indiscriminata condanna della stagione controriformistica, della dominazione spagnola e della perdita del primato culturale europeo possono cioè contrapporsi la focalizzazione su generi e discipline generalmente trascurati, che la riflessione estetica dell’epoca considerava letteratura (e che noi oggi considereremmo piuttosto literacy, con un anglicismo che significativamente non ha corrispondente diretto in italiano). Si pensi alla scrittura filosofica e giuridica, alla produzione scientifica e medica, al teatro popolare e alle messe in scena operistiche. Il volume si conclude con una sezione dedicata all’età di Milano: l’età delle accademie scientifiche, della res publica litterarum dei Verri e di Beccaria, della repubblica e dell’intellighenzia napoleonica, delle prime raffinate prove di letteratura proto-romantica e dell’innalzamento del numero degli alfabetizzati.
 
Uno degli aspetti più affascinanti del progetto dell’Atlante (e di questo volume in particolare, per la sua estensione cronologica) è l’estrema coerenza d’impostazione: si vuol dire dell’organicità della struttura, della coesione tra le parti, della bilanciata distribuzione cronologica e temporale. Ai principi del secolo scorso, il filologo Michele Barbi sosteneva la necessità di “considerare caso per caso” i problemi interpretativi posti dai singoli testi. I tre curatori di questo volume sembrano essere ben riusciti, attraverso un attento lavoro di editing, a mantenere l’omogeneità di impostazione di un opera che vuole proporsi come ecumenica, salvaguardando tuttavia la specificità del singolo testo e del singolo fenomeno culturale. Alla base di questa riuscita omogeneità ci sembra si possa individuare il continuo dialogo tra distant reading e close reading, per rifarci alla distinzione proposta da Franco Moretti. Si parte cioè dal fatto testuale, per inserirlo nell’ambito di un sistema di dati ed esprimerlo in termini di diagrammi: ma l’obiettivo di fondo è perlopiù il ritorno alla dimensione più veracemente letteraria del testo, dopo e a condizione che questo sia stato restituito alla sua concreta dimensione contestuale (geografica e storica). È il caso di uno dei saggi più stimolanti dell’Atlante: “Atomi in rima” di Francesca Serra. Nel saggio, la controversa traduzione del De rerum natura di Lucrezio ad opera del matematico galileiano Alessandro Marchetti è reintegrata nelle sue vicende editoriali di censura, circolazione clandestina e pubblicazione postuma; ma alle considerazioni di tipo sociologico si accompagnano notazioni sulla dimensione più strettamente letteraria del testo e considerazioni teoretiche sulla nozione di traduzione e riscrittura. È, parimenti, il caso del saggio forse più complesso del volume, per impostazione, estensione e obiettivi: “Una forma per tutti gli usi: l’ottava rima” di Giancarlo Alfano. Nel saggio di Alfano, il dato quantitativo sul numero di edizioni è accompagnato da considerazioni metricologiche sulla forma ottava, la mappatura dei luoghi di pubblicazione e fruizione dei poemi è affiancata agli elementi di critica tematica e alle notazioni sulle dinamiche intertestuali e sul ruolo dell’imitatio tra Umanesimo e Rinascimento. Il saggio di Alfano sembra riprodurre, en abyme, la complessità e i pregi del progetto di Luzzatto e Pedullà. E ne propone alcune problematiche che rendono la consultazione del volume ancora più stimolante. In primo luogo la relazione tra i noti “grandi” delle nostre lettere e un arcipelago di autori e testi minori (o minimi) che costellano le mappe, i grafici, i diagrammi e i saggi-evento dell’Atlante. Nel suo studio Misteri pagani del Rinascimento, Edgar Wind sosteneva che un metodo che andasse bene per le opera minori ma non per quelle grandi fosse ovviamente partito dalla parte sbagliata: “La storia sembra aver dimostrato che, mentre il luogo comune può essere compreso come riduzione dell’eccezionale, l’eccezione non può, invece, essere compreso dilatando il luogo comune. Sia logicamente sia casualmente, l’elemento decisivo è l’eccezionale, perché esso introduce (per quanto strano possa sembrare) la categoria più ampia”. La prospettiva che l’Atlante propone sembra richiedere, al contrario, una parziale sospensione del giudizio estetico, che permetta di contare, disegnare, confrontare e di rileggere, interrogando la natura spesso artefatta di ogni narrative che non esponga chiaramente i propri criteri ermeneutici e si limiti invece a reiterare dati consolidati e convenzioni critiche precedentemente acquisite.
 
Non sfugge a chi scrive che l’uso della mappa e del dato numerico rappresenta una scelta ideologica altrettanto perentoria della historia rerum gestarum di ispirazione hegeliana. E non sfuggono alcuni problemi di impostazione, come la dimensione tutto sommato secondaria che le zone periferiche (meridionali e insulari) rivestono nell’Atlante, descritta in maniera non del tutto soddisfacente dai curatori con il conferire un ruolo accentrante alla Napoli capitale del Regno di contro alla costellazione di singole capitali della realtà politica centro-settentrionale. E si aspetta, di fatto, di giudicare come questi problemi siano affrontati o risolti nell’assai atteso terzo volume. Ma è proprio delle esperienze pioneristiche suscitare difficoltà e proporre cruces, oltre che risolvere problemi e soddisfare aspettative. Ed è chiaro che il dibattito aperto da questo secondo volume può solo aggiungere senso e comprensione allo studio dell’articolato e complesso sistema letterario italiano.