Il telescopio di Galileo. Una storia europea

May 22, 2013
Il telescopio di Galileo. Una storia europea

by Massimo Bucciantini, Michele Camerota, Franco Giudice
Einaudi, 306 pp., ill., € 25.00

ELOISA MORRA

“Spesso – scriveva Aby Warburg – “il buon Dio si annida nei dettagli”. Ed è in due dettagli dei quadri sottostanti che è racchiusa la metamorfosi d'uno strumento che avrebbe smosso e rovesciato il mondo come lo si era conosciuto dalle origini fino al primo decennio del Seicento: il telescopio. Sono entrambi di mano di Jan Brueghel il Vecchio, che li dipinse a distanza di un decennio.

Il Paesaggio con vista del castello di Mariemont è del 1611, e venne commissionato al pittore fiammingo dall'Arciduca Alberto d'Austria, fratello dell'imperatore Rodolfo II: è proprio lui, nell'angolo in basso a sinistra, l'uomo che tiene davanti all'occhio lo strumento puntandolo verso il castello e le colline all'orizzonte. L'Allegoria dell'aria risale invece a dieci anni dopo; doveva essere l'ultimo di una serie di quadri dedicati agli elementi, e Brueghel aveva impiegato cinque anni prima di inviarlo a un committente d'eccezione, Federico Borromeo: cardinale, fine conoscitore d'arte e appassionato d'astronomia. In questo caso lo strumento non appare in una posizione defilata, mentre cambia l'uso che ne viene fatto: vicino alla figura dell'Aria, al centro della scena, tra i molti genietti che tengono in mano vari strumenti matematici e astronomici (compassi, bussole, astrolabî) ne spicca uno intento a scrutare il cielo con un cannocchiale. Nello scarto tra queste due testimonianze visive si inscrive la rivoluzione di Galileo, che era riuscito a trasformare un oggetto pensato inizialmente per scopi militari in uno strumento astronomico dalle ricadute dirompenti. Registrare l'impatto della scoperta galileiana al di fuori dell'ambito strettamente scientifico attraverso i dipinti e le loro committenze è solo uno dei molti elementi innovativi messi in gioco in Il telescopio di Galileo. Una storia europea, scritto in collaborazione dai tre storici della scienza Massimo Bucciantini, Michele Camerota e Franco Giudice. Il sottotitolo scelto è indicativo: questo libro a “sei mani” non racconta ancora una volta la storia del telescopio – già scritta, e con un solo personaggio a dominare vittorioso la scena – ma le storie di questa scoperta, che spesso si intrecciano arrivando a toccare i maggiori paesi d'Europa e perfino l'Asia. Come venne creato, in quali modi venne usato e reinventato l'“occhiale dalla vista lunga” passando di mano in mano, di città in città? “Per provare a saperne di più – spiegano gli autori in apertura – “occorre essere pronti a leggere questa storia, la storia del telescopio, con altri occhi e provare a raccontarla con altri linguaggi che non siano solo quelli delle tecnologia e delle scienze applicate.” Tutto era incominciato nel settembre del 1608, quando un occhialaio olandese, Hans Lipperhay, presentava al conte Maurizio di Nassau l'invenzione del cannocchiale, chiedendo una patente di esclusiva. La sua richiesta non venne accolta, ma dall'estate 1609 quelle lenti ingrandenti si diffusero a macchia d'olio diventando uno status symbol. Vennero battezzate con i nomi più diversi: perspicillum in latino, lunettes in francese, cylinder o perspective trunckes in inglese, instrumentum om verre te sien in olandese, visorio, cannone o occhialone in italiano È a questo punto che Galileo interviene: tra il 1609 e il 1610 lo scienziato riesce a fabbricare delle lenti molto più potenti e raffinate delle precedenti, trasformando l'“occhiale olandese” nel suo occhiale – il telescopio. Nei primi capitoli del libro siamo immersi nella materialità del laboratorio dello scienziato, anche grazie all'uso sapiente di documenti inediti: tra i molti spicca una curiosa “lista della spesa” del novembre 1609, in cui Galileo accosta ai generi alimentari le “palle d'artiglieria, pezzi di specchio, cristallo di monte” che gli sarebbero serviti per allestire il suo laboratorio ottico. Ma, ci raccontano gli autori, determinante per la messa a punto del telescopio non furono soltanto gli sforzi del singolo, ma anche il ruolo cruciale svolto dallo stimolante ambiente della Repubblica di Venezia e dai colleghi di Padova: scopriamo così l'importanza del rapporto d'amicizia con Paolo Sarpi e la costante collaborazione di Galileo con gli artigiani del vetro di Venezia. Fu anche grazie a loro se l'”occhiale” raggiunse la potenza e la raffinatezza tecnica che permisero a Galileo di vedere il cielo e scoprirne aspetti mai visti prima. L'uscita del Sidereus nuncius – “avviso sidereo”, messaggio e messaggero insieme (la parola nuncius racchiude infatti i due significati) – rappresenta un punto di svolta; da questo momento in poi la sfida intellettuale esplode su molti fronti simultaneamente. “Depositari della verità delle storie di cui sono testimoni”, i luoghi giocano un ruolo fondamentale in questa immaginaria partita. La minuziosa ricostruzione del viaggio romano del 1611 contribuisce a rendere meno scontata la “vittoria” dello scienziato pisano: scopriamo così che proprio mentre il Papa riconosceva il valore delle scoperte galileiane, i cardinali del Sant'Uffizio indagavano per sapere se il suo nome fosse all'interno del processo a carico del matematico Cesare Cremonini, accusato di negare la tesi dell'immortalità dell'anima. Seguendo un'impostazione che deve molto alla svolta geografica e alle scelte metodologiche dell'Atlante della letteratura italiana Einaudi, gli autori mostrano come ogni ambiente sociale contribuisca in modi diversi a far evolvere “una storia al plurale, che per essere ricostruita e montata pezzo per pezzo ha bisogno che si racconti in tutta la sua simultaneità”. Bucciantini, Camerota e Giudice hanno mantenuto la parola: oltre a Galileo incontriamo quindi non solo scienziati come Keplero, Magini, Harriot, Horky, ma anche principi come Rodolfo II o Giacomo I, letterati come John Donne e artisti come Pieter Paul Rubens, Ludovico Cigoli e il già citato Brueghel. E ad emergere in una luce nuova sono anche percorsi già apparentemente battuti, come il rapporto tra Galileo e Keplero: lo mostra il bel capitolo in cui Galileo veste gli insoliti panni dello scienziato-giocatore, sfidando il matematico imperiale a risolvere degli anagrammi che nascondevano le sue scoperte. Abolendo la tradizionale barriera che nella storiografia della scienza separa la storia delle idee dalla storia sociale (politica, artistica, letteraria), Il telescopio di Galileo fornisce un'analisi complessa e approfondita che riesce ad appassionare specialisti e non grazie alle fulminee concatenazioni e alla singolare eterogeneità di ambienti e personaggi in gioco.