Les Abus de la mémoire

February 2, 2013
Les abus de la mémoire
di Tzvetan Todorov
Arléa, 61 pp., € 5.00
 
DALILA COLUCCI
 
Appassionato studio sulle delicate questioni della memoria e dell’oblio nelle società occidentali alle soglie del secondo millennio, Les Abus de la Mémoire gioca la sua partita teorica sul pericoloso crinale tra due condizioni limite dell’atto del ricordare: quella che lo vede minacciato e quella opposta della sua sacralizzazione. Entrambe sono, a ben guardare, vicendevolmente implicate, essendo il culto odierno della memoria risultato dagli eccessi dei regimi totalitari del XX secolo che, sistematizzando le pratiche di controllo sulla memoria e attuando altresì la silenziosa modifica della stessa (attraverso la rimozione fisica delle loro vittime e l’intervento sui documenti ufficiali), ne hanno prodotto il contemporaneo, incondizionato e altrettanto pericoloso elogio. Costantemente in bilico tra questi due estremi, l’elegante analisi filosofico-antropologica – condotta da uno Tzvetan Todorov lontano dai consueti toni formalistici e semiotici che lo hanno reso celebre – approda dunque a un’attenta ricostruzione storica e culturale del concetto di memoria: responsabile delle umane convinzioni come dei sentimenti, atto di opposizione al potere “assimilé à la resistance antitotalitaire”, essa appare in queste poche ma dense pagine liberata da ogni incrostazione ideologica e utopicamente diviene, attraverso la disamina dei suoi abus, luogo di un travail etico e civile. Travail che, come provano i continui riferimenti letterari a figure quali Primo Levi, Jorge Semprun, Euphrosina Kersnovskaïa, mira in particolare a sottrarre la memoria dell’esperienza concentrazionaria nazista a qualsiasi atto di reminiscenza singolativa, per restituirla piuttosto a un uso esemplarmente morale (che Todorov assimila alla nozione di giustizia). In effetti il saggio, la cui prima edizione per i tipi di Arléa data gennaio 1995, dissimula appena la sua origine di specifico intervento, presentato al congresso Histoire et mémoire des crimes et génocides nazis, organizzato a Bruxell dalla fondazione Auschwitz nel 1992; il suo merito, tuttavia, sta proprio nell’evadere un rischioso ma prevedibile schema a tesi – bloccato sul ricordo sterile di un evento incommensurabile – per rileggere la davvero abusata storia della Shoa ricollocandola in una dimensione transitiva, ovvero rendendola una lezione valida rispetto al presente, senza sottomettere quest’ultimo al passato. Circola in altre parole, ne Les Abus de la Mémoire, una domanda ossessiva e moderna che aspira certo ad assumere respiro universale: in che modo sottrarre eventi terribili e straordinari come l’olocausto alla tentazione autoreferenziale dell’unicità? Quest’ultima, infatti, soffoca non solo le aperture performative della memoria ma anche la possibilità di comprensione degli eventi. È invece solo attraverso la comparazione che questi ultimi si definiscono (per similarità o distanza), senza che ciò serva a giustificarne o attenuarne la gravità. Così, associare la vicenda concentrazionaria tedesca a quella stalinista (accostando, come Todorov propone nel libro, Aushwitz al campo sovietico di Kolyma) non vuol dire, se si resta nell’ambito della memoria esemplare, assimilare indistintamente le due cose, privandole delle loro peculiarià, bensì adoperare modelli conoscitivi e di denuncia per interpretare meglio entrambe le realtà. “Il n’ya aucun mérite à ce que l’on se place du bon côté de la barricade, une fois que le consensu social a fermement étabilt où est le bien et où est le mal”, ci ricorda Todorov, menzionando di lì a poco, per contrasto, l’esempio di David Rousset, prigioniero politico sopravvissuto a Buchenwald, promotore nel 1949 di un’inchiesta sui campi ancora attivi in URSS. Luminoso esempio di applicazione della memoria – non compreso da troppi vecchi deportati dei campi nazisti – il gesto di Rousset svela una strada per sfuggire al principale abuso della memoria: secondo il quale le sofferenze passate vengono interpretate come privilegio, avallando azioni disetiche. Di altri simili abusi Todorov offre un’ampia esemplificazione nel quarto capitoletto del libro, in cui è per altro stabilito il valore non necessariamente negativo dell’oblio, auspicabile ove la cieca persistenza della memoria – antica e radicata come quella che oppone i Serbi agli altri popoli della ex-Yugoslavia o, in tempi meno recenti, quella delle bellicose tribù americane descritte da Vespucci – sia causa di morte. Il saggio procede del resto, tramite successive biforcazioni, proprio nell’intento di smentire lo stereotipo di una netta contrapposizione tra mémoire e oubli: il binomio oppositivo andrà piuttosto cercato tra le nozioni di effacement e conservation del passato, essendo la memoria il risultato di una selettiva interazione tra i due; oppure tra suo materiale recouvrement e sua utilisation. A proposito di quest’ultima, Todorov si dilunga per altro sulla sostanziale mancanza di indipendenza della memoria nella società occidentale, ove, a partire dal Rinascimento e ancor più dalla fine del XVIII secolo, essa ha smesso di rivestire il ruolo centrale che le era deputato nella dimensione d’oralità arcaica, per divenire ancella di altre facoltà. La memoria, che pure è alla base della cultura, si articola cioè restando subordinata a linee direttive rappresentate dai concetti (giuridici, sociali, scientifici e artistici) di volonté, consentement, raisonnement, création e liberté. Il che stona se accostato alla pericolosa proliferazione dei culti della memoria che dilaga in Europa, e in particolare in Francia, cui è dedicato l’ultimo breve capitolo, che localizza altresì il rischio di estinzione della memoria nella sua stessa sovrabbondanza moderna. Nell’esaminare tale preoccupazione compulsiva – e talora ridicola, se si pensa all’esempio del “musée de la crêpe en Bretagne” – di marcare l’appartenenza a un gruppo definito (nazionale, razziale o sessuale che sia), l’autore rintraccia i sintomi di una crisi di identità collettiva, nata dalla progressiva omogeneizzazione culturale in atto all’interno delle singole comunità e a livello trasnazionale. Il libro si mantiene dunque, fino alla fine, in equilibrio perfetto – complice la sua prosa limpida e scorrevole, al riparo da accenti polemici – tra la difesa e la lucida analisi dei limiti della memoria, nel tentativo di disfarne i luoghi comuni come le estreme venerazioni, che la rendono inattiva nei confronti tanto del presente che dell’avvenire, cristallizzandola in una dimensione nostalgica che ha abdicato a ogni azione etica, morale, civile, sulla realtà.